Nel 2000, 2G affida un numero monografico sull’architettura italiana del secondo dopoguerra a Luca Molinari e Paolo Scrivano.
I testi introduttivi dei co-curatori si concentrano su due temi fondamentali del dibattito di quegli anni. Molinari situa la vicenda architettonica della ricostruzione a cavallo “tra continuità e crisi” e descrive un momento virtuoso in cui “l’armonia tra contesto, storia e progetto moderno sembrava poter essere la chiave per una decisiva umanizzazione della modernità”. Scrivano mette l’accento sulla dimensione necessariamente internazionale che assumono le tematiche del dopoguerra italiano. Le “influenze e infiltrazioni” tra la Penisola e il resto del mondo occidentale sono intense e reciproche, a partire dall’attività teorica e professionale di alcune figure chiave – come Ernesto Nathan Rogers, Bruno Zevi e Adriano Olivetti – e dalla partecipazione ai CIAM di molti tra i più importanti progettisti italiani dell’epoca.
Le schede dedicate ai singoli progetti, che comprendono disegni, fotografie d’epoca e contemporanee – queste ultime di Francesco Jodice – raccontano la ricostruzione come un fenomeno pervasivo, che coinvolge tutte le principali strutture della modernità italiana.
Dal solenne Monumento ai Martiri delle Fosse Ardeatine a Roma (di M. Fiorentino e altri, 1949) agli esperimenti neorealisti dell’avventura INA Casa (come il Quartiere Tiburtino, sempre nella capitale, di L. Quaroni, M. Ridolfi e altri, 1949-1954); dai condomini borghesi a Milano (l’edificio per abitazioni di L. Figini e G. Pollini in via Broletto, 1947-1948) e a Roma (la casa Il Girasole di Luigi Moretti, 1947-1950) agli edifici legati al mondo della produzione (ben due di Olivetti, a Ivrea e Pozzuoli); dai musei (come quello del Tesoro di San Lorenzo a Genova, di F. Albini, 1952-1956) alle chiese.
Il saggio finale di Marco De Michelis, Osservazioni sull’architettura italiana della fine del secolo, prosegue la riflessione nei decenni successivi e fino al presente, a partire dal celebre albero genealogico pubblicato da Italo Rota su Domus n. 764, nel 1994.