Che cosa hanno in comune le casette dei Tre Porcellini e il Cabanon di Le Corbusier? E Casa Farnsworth – la casa trasparente – costruita da Mies van der Rohe per una donna molto amata e gli studi del Grande Fratello? La casa è ancora il primo bene che ci fa proprietari o il giovane sogno borghese è finito insieme al boom? Qual è la forma delle case nell’epoca della sharing economy e della riproducibilità architettonica imposta dalle emergenze di guerra e dalle migrazioni? Che cosa ha cambiato l’Ikea nel nostro modo di immaginare non solo lo spazio, ma la vita?
Le case che siamo mette in gioco queste e altre questioni attorno al tema complesso della casa che, nelle parole di Luca Molinari, oggi “non è più solo un luogo definito ma è diventata un nuovo paesaggio, uno spazio pubblico in cui si realizzano le nevrosi e le idiosincrasie contemporanee” e un filtro “attraverso cui cercare di leggere frammenti possibili della nostra vita futura”.
Gli otto capitoli centrali del libro sono altrettante narrazioni possibili sul tema, che raccontano la casa come “solida”, “dominante”, “sacra”, “trasparente”, “democratica”, “senza radici”, “invisibile”, e infine “la casa che sono”.
In un’epoca in cui “la questione dell’abitare rimane schiacciata tra i due poli opposti del social housing e dell’interior design”, stimolare una riflessione attiva sul tema della casa è più che mai necessario. “Ripartire dalla casa, dalla casa che noi siamo e che abitiamo distrattamente, comporta oggi ritornare ai gesti primari, ai simboli che si rinnovano, alle visioni che per millenni hanno dato valore ai nostri luoghi (…), recuperare quello che desideriamo ed esprimiamo ogni volta che abitiamo un luogo, che lo trasformiamo e condividiamo con altri”.
“Acquisire consapevolezza e costruire un pensiero critico sulle tante case che siamo” è un punto di partenza fondamentale “per produrre visioni utili per i prossimi decenni”.